Paola Zannoner è stata nostra ospite il 16 aprile e in quell'occasione i ragazzi di II C, E ed F dopo aver letto La linea del traguardo hanno provato ad aggiungere una pagina: La pagina che non c'era, prendendo spunto dall'omonimo concorso riservato agli alunni delle scuole superiori.
Ecco alcune delle loro pagine
Da inserire prima di p. 38
Leo aggrottò le fronte e salutò il padre, prima di accendere i motori del suo “bolide” e partire per tornare a casa. “Non so cosa mi sia preso... vorrei che questa giornata iniziasse da capo e come voglio io: niente nebbia; il campo verde e asciutto, senza pozzanghere e fango...” pensava Leo; meditava solo a quell’occasione che aveva cestinato all’aria... “solo per... per... l’arbitro che non ne ha fatta una giusta e i difensori avversari che sembrava mi volessero portare via... nei posti in cui io non potevo fare paura al portiere...” queste sono i discorsi che si faceva Leo se qualcosa durante la partita non era andata a buon termine... Non era mai colpa sua, ma sempre colpa degli avversari e degli arbitri...
Solo quando vide una luce rossa che rifletteva nell’asfalto bagnato della strada si accorse del semaforo davanti a lui e dell’eccessiva velocità con cui stava procedendo.
La partita era diventata un’ossessione: la strada gli rifletteva le immagini, le azioni in cui avrebbe potuto... o meglio... in cui avrebbe dovuto concludere diversamente. Era un match troppo importante per fare un passo falso... Il colore della carreggiata cambiò colore; dal rosso acceso al verde intenso e luminoso, allora tolsi la mano dal freno e accelerai di colpo. Avevo fretta di tornare a casa a fare qualcosa che mi distraesse da questa ingiusta partita ma mi chiedevo sempre: ”perché mi devono capitare questi arbitri cosi inesperti! Che vadano ad arbitrare delle partite meno importanti e poi gli avversari ce l’ avevano con me non volevano farmi proprio avere quel minimo di tempo per girarmi e passare la palla!”. Leo si sentiva anche dispiaciuto perché avrebbe dovuto cercare di mantenere la calma e giocare come sempre. Questa era la partita più importante che gli permetteva di passare a una squadra molto più forte e cosi di farsi conoscere in tutto il mondo... ma ormai tutto è perduto. Leo pensando di correre su un’ala del campo inseguito dagli avversari, accellerò ulteriormente, passando dai 40 km/h ai 55km/h senza notare degli automobilisti che gli gridavano contro:”Fai attenzione, ragazzino!” ma Leo pensava di essere ancora sul campo e che i tifosi lo stessero incitando. Leo aumentò ancora la velocità sicuramente superando i limiti consentiti dalla legge, ma eccolo arrivare a fondo campo e accentrarsi per tirare, ma ecco che un maledetto avversario gli dà una spallata, che sembra una cannonata, facendolo cadere dieci metri più avanti, è proprio in questo momento che Leo torna alla realtà. Era tutto vero, era vero che un maledetto avversario, un’auto, lo aveva colpito facendolo sobbalzare poco più avanti di un bar all’angolo dove tutti erano fermi, incapaci di reagire.
Leonardo, Matteo, Gianluca
Da inserire a p. 93, all’inizio
Da inserire a p. 93, all’inizio
Il giorno prima della gara, Viola, appena tornata da casa di Leo, era
così stanca che si distese sul letto pensando al gran giorno che sarebbe
arrivato. Non era sicura di vincere, era spaventata al pensiero che
avrebbe potuto deludere i suoi famigliari, ma soprattutto Leo. Quindi
senza altri indugi, combattendo la stanchezza, si mise la tuta e si
precipitò verso il portone di casa per iniziare un duro allenamento.
Arrivata al parco iniziò a correre, infilò le cuffiette e mise il volume
al massimo, per non sentire i suoi pensieri: le pesavano le aspettative
delle persone che in quel periodo l’avevano sostenuta (come Sirio, di
certo non sua madre!). L’idea “poi” che ci sarebbe stato Leo a guardarla
la agitava tantissimo.
Il tempo volò e non si accorse che si erano già fatte le 19.00, tornò a
casa per mangiare e trovò sua madre ubriaca, immobile al centro della
stanza, quindi le disse: “Come ti sei ridotta!? Non puoi continuare
così!”. La donna farfugliò qualche parola incomprensibile di scuse e
promesse, ma Viola sapeva benissimo che nulla sarebbe cambiato, se non
in peggio. Sua madre avrebbe continuato a bere, fumare e ubriacarsi… Era
proprio senza speranza!
Viola se ne andò in cucina a preparare qualcosa, mentre sua madre si
lasciò cadere sul divano senza nemmeno provare a reagire. Finita la cena
corse in bagno a fare una doccia, pensando che avrebbe “lavato" il suo
dolore. Non fu così: si diresse verso camera sua, cercando di lasciarsi
tutto alle spalle e si sdraiò sul letto aspettando con ansia il
fatidico giorno.
Elena, Filippo F., Tommaso, Tudorita
Da inserire dopo p. 140
L’arrivo inaspettato del padre di Viola
Dopo che ebbe finito la gara, Viola riuscì a scorgere tra gli spettatori un viso familiare . . . Era suo padre!!!
Viola non sapeva che fare, non gli corse incontro, come è solita fare una figlia quando rivede suo padre, ma aspettò.
Subito dopo che ebbe visto suo padre, un mucchio di gente, tra cui sua
madre, le corse incontro per farle i complimenti per essere arrivata
prima. Man mano la gente se ne andò via, quando non ci fu più nessuno il
padre si avvicinò a Viola. All’inizio aveva uno sguardo molto teso e
pensieroso, non sapeva cosa dire dopo tutto quel tempo che non si era
fatto vivo e non si era preso cura di lei in nessun modo. A un certo
punto incominciò a parlare, ma pronunciò le solite banalità: “Scusa, mi
perdoni?” Viola non lo stette neanche ad ascoltare, all’improvviso
interruppe suo padre e disse: “Non devi chiedere scusa a me, ma a chi è
stato veramente male”, contemporaneamente Viola si voltò e con lo
sguardo indicò sua madre. Allora il padre incominciò ad avviarsi
lentamente verso sua moglie. Patricia alla vista del marito gli corse
incontro e lo abbracciò con tanta felicità. Allora Viola guardandoli da
lontano sorrise e incominciò a correre per andare ad abbracciare suo
padre e sua madre che erano ritornati alla vita.
Antonio, Enrico, Asia e Filippo
Epilogo
Non poteva esserci un finale migliore: ho vinto la gara, ma ho vinto
anche qualcosa di molto più importante nel momento in cui ho visto mia
madre uscire dopo tanto tempo. Finalmente aveva capito che anche senza
mio padre poteva farcela. Poteva avere una vita normale, come tutte le
altre donne, si era resa conto che non era una fallita. Da quel giorno è
uscita più spesso, si incontrava frequentemente con le amiche che non
vedeva da tanto tempo ma, cosa più importante di tutte, aveva buttato il
televisore! Ero talmente contenta che non ci credevo! Era tornata la
Patricia di sempre, quella di cui mio padre si era innamorato anni fa …
Solo dopo un po’ mi sono resa conto che con lei era stato un po’ come
con Leo. Anche lei dopo un momento difficile era riuscita a rialzarsi, a
non considerarsi più un rifiuto e a ritrovare la voglia di vivere! Ho
capito che dopo tanti ostacoli ero arrivata al traguardo e avevo
finalmente superato quella linea. La linea che separava la vecchia dalla
nuova vita, una vita migliore per me e per gli altri …
Ero al settimo cielo.
Io sono Viola ce l’ho fatta!
Mio padre credeva in me. Finalmente da dopo l’incidente aveva avuto il
coraggio di guardarmi, di parlarmi perfino di abbracciarmi. Si era
scusato con parole poco raffinate, ma sincere e ciò mi ha reso felice,
felice come non ero da tempo. Devo ammetterlo, mi sono quasi commosso,
con il suo abbraccio ha sciolto i miei dolori. Però erano lacrime di
gioia.
Non so trovare le parole per descrivere tanta contentezza. Mio padre
aveva sempre avuto grandi aspettative nei miei confronti e averlo perso
dopo la paralisi era stato straziante, anche se non me ne ero reso ben
conto. Ora anche la gente del quartiere si è abituata a me, nessuno mi
guarda male, nessuno sembra provare pietà per me, sono una persona
(quasi) normale.
Io sono Leo ce l’ho fatta!
Noi siamo Leo e Viola e ce l’abbiamo fatta!
Gaia, Mariafiore, Angela, Silvia, Pietro
Da inserire dopo p. 137
Enrico rientrò con una certa serenità sul volto, si sedette sugli spalti
e dovette persino nascondere le mani in mezzo alle gambe e mordersi la
lingua per evitare che si notasse il continuo fremito che lo percorreva
da cima a fondo, percuotendolo in un unico, penetrante brivido. Ad ogni
canestro segnato da Leo perdeva il controllo e si agitava saltando con
le braccia in aria, prendeva parte ai cori di incoraggiamento, insieme
agli altri ragazzi. Era come una scossa adrenalinica, ad ogni punto
segnato si sentiva sempre più vivo e più giovane, più forte, ritrovando
la gioia che non aveva mai più ritrovato dai tempi del liceo. Finita la
partita era paonazzo in volto, i suoi capelli, sempre tenuti ordinati,
erano ora una matassa scompigliata, la camicia era bagnata fradicia…
Come un ubriaco, si direbbe, ma c’era qualcosa di diverso
dall’espressione malinconica e trasognata di quello che ha bevuto
troppo: Enrico aveva un sorriso a trentadue denti, fresco, pulito e
giovane.
Come tutti gli altri genitori, era impaziente di incontrare il suo Leo.
Aveva fumato dieci sigarette da quanto era agitato; aveva camminato
avanti e indietro per non si sa quante volte. Finalmente la squadra
vincente uscì e la schiera dei padri e delle madri (compresa Gisella) si
era letteralmente precipitata sui figli. Grida di -ti voglio bene!-,
-Bravissimi!-, baci, abbracci, strette di mano volavano di qua e di là.
C’era solo un uomo che stava fermo e non faceva niente: i capelli
rimessi al proprio posto, giacca e cravatta, mani in tasca, sguardo
perso, che si rianimò solo quando la folla si diradò e resto solo una
donna con il figlio in carrozzina, che si avvicinò al padre, che gli
diede uno sguardo di sfuggita e andò verso il parchetto accanto alla
palestra.
Leo aveva capito: suo padre voleva che lo seguisse. Diede una lieve
spinta alle ruote ed eccolo sul ghiaino del parco, accanto ad Enrico.
Questi iniziò a parlare con dei brontolii, indugiando… poi iniziò il
discorso, deciso.
-Ecco… Bfnf…grfff…insomma, so che dall’incidente non ti ho più parlato
molto e non ti ho badato e sostenuto come avrei dovuto: ho sbagliato.
Solo adesso me ne rendo conto e me ne pento, mi accorgo che il mondo di
prima non era basato su altro che non il calcio, quest’unica aspettativa
mi ha offuscato la vista e riempito così d’orgoglio che il tuo
incidente e la conseguenza del “non-più-calcio” mi ha messo molto in
difficoltà e mi ha portato a fare degli errori stupidi con te. Perché tu
sei sempre tu, il mio Leo, sei sempre l’energia scatenante e contagiosa
di prima, sei l’adrenalina che ti scuote da capo a fondo ogni volto che
qualcuno ti guarda…Tu sei mio figlio.- Una lacrima gli rigò il viso.
-E per questo… ti chiedo scusa.-
Gli occhi di Leo stavano fissi su quelli di suo padre. Passarono alcuni secondi, che sembrarono un’eternità.
-E tu sei mio padre, scuse accettate, papà-. Il suo viso fu illuminato
da uno splendente sorriso; si gettò con le braccia su suo padre che si
chinò per arrivare alla sua altezza.
-Ti voglio bene papà-
Lisa, Ginevra, Romina, Anna, Sofia
Da inserire a p. 64 (riga 7)
Leo, però, era testardo come un mulo. Non si capacitava a girare le
ruote di quella carrozzina per tornare indietro, magari a casa per bere
qualcosa di caldo, con quel freddo che faceva fuori.
Intanto il fiume scorreva velocemente e portava con sé i detriti che il
vento sferzante dei giorni precedenti aveva spezzato. Era anche pieno
d’acqua e di fango e per Leo, tuffarsi poteva essere letale.
Nel frattempo Viola stava partendo da casa sua per portare i compiti a
Leo, ma lui era lì, vicino a quel fiumicello e minacciava di uccidersi
gettandosi in quell’acqua gelida e insidiosa. In quel momento ebbe un
flash: “E ora che sono in questa carrozzina, che ne sarà della mia vita?
Non potrò più partecipare a quelle gare ed inseguire quella vittoria
che avrei sempre voluto. Non valgo più niente in questo stato”.
Proprio in quel momento vide Viola che si stava dirigendo verso casa sua per la loro lezione quotidiana.
In quel istante sentì i muscoli delle braccia bloccarsi e subito pensò:
“Perché buttarsi in quest’acqua gelida quando ho delle persone che mi
amano e che credono in me... perché lasciarle in preda alla
disperazione: una madre e un padre senza figlio, un bambino senza
fratello e i miei compagni senza di me. Sono stato uno stupido a pensare
una cosa del genere solo perché sono in una sedia a rotelle! E’ meglio
che ritorni a casa, non merito di morire così! La mia vita andrà avanti
allo stesso modo di prima.”
Leo allora, fece marcia indietro e si allontanò da quel corso d’acqua tanto temuto.
Leo vide arrivare un’ombra...
Niccolò, Alessandro, Andrea e Alessandra
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